sabato 20 ottobre 2018

KIRA: UNA FIABA MODERNA


Kira: una fiaba moderna

Una via o meglio un vicolo, stretto, buio e senza uscita. La città era... ma il nome non ha importanza, poteva essere una delle tante di quel pezzo di mondo, dove nascere, crescere e sopravvivere è solo questione di fortuna. Fu trovata, come tanti altri bambini partoriti dalla fame e povertà, in quel vicolo noto a madri e padri che, senza possibilità di crescere un figlio, lasciavano le loro creature con la speranza che qualche organizzazione umanitaria potesse raccoglierli e dare loro una vita dignitosa, prima in un orfanotrofio, quindi in adozione a qualche coppia desiderosa d’avere, nel calore della loro casa, un bimbo o una bimba. La raccolsero che pesava pochi etti, non piangeva, ma i suoi occhi erano due immensi laghi scuri che esprimevano la profondità di quanto desiderio avesse d’essere raccolta e amata. La ragazza dell’organizzazione umanitaria che scese per prima dal mezzo di soccorso si diresse, quasi attratta, verso quel fagottino silenzioso. Si chiamava Mary, aveva venticinque anni e dopo una laurea in filosofia, conseguita con ottimi voti in una delle migliori università del suo Stato, pensò bene che la vera strada da percorrere non fosse l’insegnamento filosofico o qualcosa di attinente agli studi fatti, ma impegnare l’esistenza dedicandosi attivamente nell’aiuto di chi soffre e meno fortunato.  Nonostante Mary provenisse da un’ottima famiglia agiata, cresciuta in un ambiente sano, circondata da benessere e comodità, la sua vita fu macchiata dalla sfortuna, una malattia non le permetteva d’avere figli. Forse questo il motivo principale che la portò a dare una svolta alla sua esistenza. Mary strinse tra le braccia quella bimba, quasi a volerla portare al seno e nutrirla, quasi l’avesse partorita lei. Risalì sul mezzo dell’organizzazione insieme ai suoi colleghi, ognuno con un bimbo o una bimba tra le braccia. La prassi, raggiunta la sede dell’organizzazione, era quella che i bimbi fossero consegnati a una comunità di suore che gestivano un orfanotrofio, per poi essere indirizzati, dopo un periodo di svezzamento, verso altra struttura, quasi sicuramente quella che si occupava delle adozioni. Mary, forse perché attratta dalla magia dello sguardo della bimba, forse perché era una delle sue primissime uscite, non voleva consegnare la bambina alle suore, se l’era stretta al petto e i colleghi e le suore non fecero poca fatica a convincerla a consegnare quel piccolo essere. La convinsero invece con una promessa, quella che sarebbe stata lei a scegliere il nome della bimba. Il nome fu “Kira” che, nella lingua di quel paese, significava “Ritornerò”. Mary scelse quel nome perché qualche giorno prima, durante un incontro con alcuni rappresentanti di una tribù locale, lo sentì dal racconto di una leggenda di un anziano. L’uomo raccontava che tra le giovani coppie di un villaggio chi avesse avuto come secondogenita una bimba doveva donarla, in fede a una tradizione secolare, a un’altra coppia che non poteva avere figli e appartenente a una tribù amica dislocata in un villaggio lontano. La leggenda, inoltre, voleva che la bimba fosse donata alla coppia con al collo metà di una sorta di moneta appesa a un laccio, questo per permettere ai genitori naturali e alla bimba, una volta divenuta adulta, di riconoscersi, nel caso si fossero ricongiunti,  unendo e facendo combaciare le due metà della moneta. Solo una leggenda ma Mary volle crederci. Prima di salutare la piccola Kira, prossima a essere accolta nell’orfanotrofio per poi seguire la strada dell’adozione, Mary mise al collo della bimba metà di un amuleto in ebano raffigurante un sole con i raggi, mentre l’altra metà di quel sole la tenne lei al collo. Mary, fintanto il tempo glielo potesse concedere, continuò a fare visita alla piccola Kira. Quasi ogni giorno passava a trovarla all’orfanotrofio, le dava da mangiare, le portava dei vestiti nuovi, giocava con lei, riempiendo di baci quel visetto che si andava ad arricchire d’immensi sorrisi. Insomma tutto come tra una madre e una figlia. Mary continuava la sua missione con ancora più dedizione tanto che i vertici dell’organizzazione, entusiasti del suo lavoro, dell’ impegno che metteva per migliorare il servizio nella cura dei bimbi, la proposero nel ricoprire un ruolo dirigenziale in una nuova sede dislocata in un altro paese dello stesso continente ma  lontano dall’orfanotrofio dove Kira viveva.  Mary, dopo l’idea di rifiutare la proposta per stare vicina a Kira, decise di accettare il nuovo incarico con l’impegno di tornare a trovarla quando lavoro e tempo glielo permettessero. E così fu.  Un volo diretto e di poco meno di un’ora le permise di tornare nei fine settimana a trovare la piccola. La bimba cresceva sana e bella e i suoi occhi, espressivi e profondi come due laghi immensi dove un sole specchiava tutta la sua lucentezza, accompagnarono la prima parola, mamma. Sentire quella parola fu per Mary come averla avuta nel suo grembo e data alla luce. Mary avrebbe voluto adottare la piccola ma il lavoro e l’assenza di un compagno, in quel momento della sua vita, non le permisero di compiere quel gesto d’amore. Un gesto d’amore che poteva segnare la loro definitiva unione come madre e figlia. Il lavoro di Mary s’intensificò, causa una guerra in atto nel paese in cui lavorava, e per questa ragione le visite alla piccola Kira si diradarono. Molti bimbi, orfani di entrambi i genitori morti nel conflitto, avevano bisogno di assistenza e Mary non poteva permettersi di assentarsi mancando così al suo impegno. I voli furono sospesi per un lungo periodo e le comunicazioni, spesso, non permettevano contatti telefonici. Solo da rare e sporadiche fonti d’informazione apprendeva che l’orfanotrofio non correva pericolo e Kira stava bene. Ma la situazione peggiorò quando un colpo di stato scoppiò anche nel paese dove Kira viveva e tutto il territorio fu dichiarato zona di guerra. Per Mary le speranze di rivedere la piccola  in tempi brevi si ridussero ancora di più. Quel mezzo sole appeso al collo di Mary per quanto tempo ancora avrebbe dovuto attendere prima di risplendere insieme con quello di Kira? Passò quasi un anno prima che la guerra le permise di prendere il primo volo per recarsi in visita da Kira. Prima della partenza le notizie sull’orfanotrofio erano confuse e contraddittorie. Giunse voce che l’orfanotrofio era stato sgomberato e tutti gli ospiti dislocati altrove, ma non si sapeva dove. L’aereo che trasportava Mary atterrò. Il paesaggio era diverso da come lo aveva lasciato, i segni della guerra erano visibili. Una Jeep l’attendeva fuori dall’aeroporto e in pochi minuti arrivò all’orfanotrofio.  Scesa dalla Jeep Mary rimase sconvolta nel vedere la struttura che ospitava Kira quasi completamente vuota e nessuno dei bambini presente. Si precipitò a entrare in uno degli uffici che una volta era adibito alla prima accoglienza. Una suora le venne incontro, il suo aspetto provato e il viso in lacrime nel vedere Mary. La suora raccontò che dopo qualche mese dal colpo di Stato tutti bimbi vennero evacuati, insieme a loro, naturalmente, anche la piccola Kira. Mary investì di domande la suora ma la religiosa purtroppo non sapeva molto, solamente che l’organizzazione umanitaria, contattata dal  centro di adozioni, ricevette disposizioni di preparare i bimbi  perché a breve sarebbero venuti a prenderli. Da lì a pochi giorni i mezzi del centro adozioni arrivarono, i bimbi caricati e trasferiti, ma la destinazione ignota, quasi sicuramente in un paese che potesse dare un futuro a loro e alla piccola Kira. Ancora per quanto tempo quelle due metà di sole dovevano brillare separate? Lo studio era ampio, semplice ma accogliente, il tavolo lungo e scuro, di un legno che solo in quel paese si trovava, attorno ad esso comode e fresche sedie in giunco. Al soffitto le lunghe pale di un ventilatore rinfrescavano la stanza. Bussarono alla porta e l’avanti risuonò forte e chiaro. Una giovane entrò. Era la nuova volontaria dell’organizzazione umanitaria. L’assistente anziana fece cenno alla giovane di avvicinarsi. La donna si voltò. Il suo fisico asciutto forse leggermente ingobbito, il viso segnato da qualche ruga ma ancora fresco, i capelli  biondi erano mischiati da un’onda di grigio, ma gli occhi erano vivi di un azzurro intenso. Sembrava l’azzurro di un cielo, limpido e sereno, che solo in quel paese si trovava. In quel cielo mancava soltanto il sole, un sole immenso e unico. La donna si avvicinò alla ragazza. I visi delle due donne, inizialmente seri, s’illuminarono. Una luce intensa, calda e dorata partiva dalla base del loro collo. Si abbracciarono. La testa della ragazza sulla spalla della donna. Tra di loro un sole unico brillava in un cielo azzurro su due occhi immensi come laghi che esprimevano la profondità di quanto desiderio avesse d’essere raccolta e amata.


Sergio Saracchini



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