lunedì 10 dicembre 2018

IL MIO ALBERO

IL MIO ALBERO

E’ rimasta l’immagine appesa
sopra i rami di un piccolo pino
di un fanciullo i ricordi e l’attesa
di una luce che porta un bambino.

Porta in dono una stella d’argento
che accompagna una nota di pace
questo è un dono del firmamento
che a riempire il cuore è capace.

Adornato con dolci pensieri
con l’augurio e con la speranza
il mio albero così come ieri
ora brilla nella mia stanza.

Una scatola di voci e di gesti
di memorie sotto l’albero metto
sono quelle più dolci e più mesti
stretto un fiocco di baci ha il pacchetto.

Mi regalo per questo Natale
un momento denso e struggente
mi regalo per questo Natale
un abbraccio al bimbo nascente.

Mi ritrovo accanto a quel pino
con la luce del firmamento
il mio cuore non più di bambino
          ma i capelli color dell’argento.      
              
                                                                            -Sergio Saracchini-
Natale 2018

venerdì 16 novembre 2018

Il Girotondo

Il Girotondo


Osservo un girotondo
nell’ombra di una strada

ruotando in questo gioco
nel vento il movimento.

Felici sembran d’essere
nella stagione fredda
e parlano di loro
del tempo e della vita.

Si stringono, s'allargano
senza stanchezza alcuna
poi lasciano la presa
scompaiono rapite.

Finito il girotondo
la strada ora è pulita
rinchiusa dentro un sacco
la foglia e la sua vita.

Sergio Saracchini
Novembre 2018


sabato 20 ottobre 2018

BOBBY SOLO

Bobby Solo

Solo, si sentiva solo, estremamente solo. I genitori non li aveva più, era figlio unico e il suo migliore amico era lo specchio. Si chiamava Roberto ma lo chiamavano, ironicamente, Bobby, “Bobby Solo”. Naturalmente nulla a che vedere con il famoso cantante, un nome preso in prestito, un appellativo per identificarlo in quel suo mondo di solitudine. Bobby non aveva nessun tipo di malattia, non abusava d’alcool o stupefacenti, nessuna sregolatezza, eccesso o trasgressione. In lui soltanto un’estrema solitudine e una continua ricerca di qualcosa, ma di cosa? Era una domenica grigia e minacciosa di pioggia, Bobby stava vagando per la città, in giro quasi nessuno, tutti ritirati nelle loro case, nel calore delle famiglie, circondati da voci, affetti, attenzioni, condivisioni, tutti nelle loro vite a colori. Mentre camminava incominciò a piovere. La consistenza della pioggia aumentò a tal punto che dovette riparare nel primo luogo al coperto, una chiesa. All’interno nessuno. Bobby andò a sedersi su una delle panche in prima fila, proprio di fronte al grande crocefisso ligneo. La stanchezza, per la corsa sotto la pioggia, e quella spossatezza che da qualche tempo si era impadronita del suo corpo, lo portarono a chinare il capo sul petto e congiungere le mani quasi volesse assopirsi in preghiera. Non passò molto che una voce ruppe quel silenzio religioso: “Roberto, cosa ti tormenta?”. Bobby, intimorito e confuso, alzò il capo lentamente, ma non fece in tempo a realizzare che quella voce si ripresentò: “Roberto, non aver paura”. Impallidendo rimase quasi in apnea con gli occhi sgranati sul viso di quel Cristo. Non vide le labbra muoversi, lo sguardo era fisso e rivolto verso l’alto, ma quella voce si fece risentire: “Apriti a me, lascia che io possa aiutarti, cosa ti affligge?”. Bobby, senza esitazione e senza farsi troppe domande, balbettando rispose: “Solo! Mi sento solo! Estremamente solo!”. La voce replicò: “Solo? Su questa croce sono salito solo e solo sono morto, ma non sono triste”.  Bobby rispose: “Ma come fai a non essere triste?”. La voce diede la risposta: “Perché insieme a me c’è la fede, c’è Dio Padre che mi accompagna e mi ama”. Quasi vergognandosi Bobby rispose: “Io non posso pensare che lui possa amare una persona come me, che non crede in nulla pur avendo tutto o quasi tutto dalla vita”. La voce non lasciò passare troppo tempo: “Lo hai detto, quasi tutto, ma una cosa ti manca. Non ti preoccupare di non avere virtù, amami per come sei, in ogni istante amami, nell’abbondanza, nell’aridità, nella fede, nell’infedeltà amami, semplicemente amami come faccio io con te. Lasciati illuminare dal sole”. Da lì a poco la luce del sole penetrò dalle finestre illuminando la chiesa e la pioggia d’incanto svanì. Bobby, in quel momento magico, non esitò ad alzarsi e uscire. La voce divenne ancora più calda: “La luce del sole è entrata attraverso le finestre della chiesa illuminando la casa di nostro Signore. Non tenere chiusa la tua finestra, non tenere chiuso il tuo cuore, lasciati illuminare. Solo non fu più, ora era Roberto.


Sergio Saracchini



Solo il Sole
(foto di Sergio Saracchini)

KIRA: UNA FIABA MODERNA


Kira: una fiaba moderna

Una via o meglio un vicolo, stretto, buio e senza uscita. La città era... ma il nome non ha importanza, poteva essere una delle tante di quel pezzo di mondo, dove nascere, crescere e sopravvivere è solo questione di fortuna. Fu trovata, come tanti altri bambini partoriti dalla fame e povertà, in quel vicolo noto a madri e padri che, senza possibilità di crescere un figlio, lasciavano le loro creature con la speranza che qualche organizzazione umanitaria potesse raccoglierli e dare loro una vita dignitosa, prima in un orfanotrofio, quindi in adozione a qualche coppia desiderosa d’avere, nel calore della loro casa, un bimbo o una bimba. La raccolsero che pesava pochi etti, non piangeva, ma i suoi occhi erano due immensi laghi scuri che esprimevano la profondità di quanto desiderio avesse d’essere raccolta e amata. La ragazza dell’organizzazione umanitaria che scese per prima dal mezzo di soccorso si diresse, quasi attratta, verso quel fagottino silenzioso. Si chiamava Mary, aveva venticinque anni e dopo una laurea in filosofia, conseguita con ottimi voti in una delle migliori università del suo Stato, pensò bene che la vera strada da percorrere non fosse l’insegnamento filosofico o qualcosa di attinente agli studi fatti, ma impegnare l’esistenza dedicandosi attivamente nell’aiuto di chi soffre e meno fortunato.  Nonostante Mary provenisse da un’ottima famiglia agiata, cresciuta in un ambiente sano, circondata da benessere e comodità, la sua vita fu macchiata dalla sfortuna, una malattia non le permetteva d’avere figli. Forse questo il motivo principale che la portò a dare una svolta alla sua esistenza. Mary strinse tra le braccia quella bimba, quasi a volerla portare al seno e nutrirla, quasi l’avesse partorita lei. Risalì sul mezzo dell’organizzazione insieme ai suoi colleghi, ognuno con un bimbo o una bimba tra le braccia. La prassi, raggiunta la sede dell’organizzazione, era quella che i bimbi fossero consegnati a una comunità di suore che gestivano un orfanotrofio, per poi essere indirizzati, dopo un periodo di svezzamento, verso altra struttura, quasi sicuramente quella che si occupava delle adozioni. Mary, forse perché attratta dalla magia dello sguardo della bimba, forse perché era una delle sue primissime uscite, non voleva consegnare la bambina alle suore, se l’era stretta al petto e i colleghi e le suore non fecero poca fatica a convincerla a consegnare quel piccolo essere. La convinsero invece con una promessa, quella che sarebbe stata lei a scegliere il nome della bimba. Il nome fu “Kira” che, nella lingua di quel paese, significava “Ritornerò”. Mary scelse quel nome perché qualche giorno prima, durante un incontro con alcuni rappresentanti di una tribù locale, lo sentì dal racconto di una leggenda di un anziano. L’uomo raccontava che tra le giovani coppie di un villaggio chi avesse avuto come secondogenita una bimba doveva donarla, in fede a una tradizione secolare, a un’altra coppia che non poteva avere figli e appartenente a una tribù amica dislocata in un villaggio lontano. La leggenda, inoltre, voleva che la bimba fosse donata alla coppia con al collo metà di una sorta di moneta appesa a un laccio, questo per permettere ai genitori naturali e alla bimba, una volta divenuta adulta, di riconoscersi, nel caso si fossero ricongiunti,  unendo e facendo combaciare le due metà della moneta. Solo una leggenda ma Mary volle crederci. Prima di salutare la piccola Kira, prossima a essere accolta nell’orfanotrofio per poi seguire la strada dell’adozione, Mary mise al collo della bimba metà di un amuleto in ebano raffigurante un sole con i raggi, mentre l’altra metà di quel sole la tenne lei al collo. Mary, fintanto il tempo glielo potesse concedere, continuò a fare visita alla piccola Kira. Quasi ogni giorno passava a trovarla all’orfanotrofio, le dava da mangiare, le portava dei vestiti nuovi, giocava con lei, riempiendo di baci quel visetto che si andava ad arricchire d’immensi sorrisi. Insomma tutto come tra una madre e una figlia. Mary continuava la sua missione con ancora più dedizione tanto che i vertici dell’organizzazione, entusiasti del suo lavoro, dell’ impegno che metteva per migliorare il servizio nella cura dei bimbi, la proposero nel ricoprire un ruolo dirigenziale in una nuova sede dislocata in un altro paese dello stesso continente ma  lontano dall’orfanotrofio dove Kira viveva.  Mary, dopo l’idea di rifiutare la proposta per stare vicina a Kira, decise di accettare il nuovo incarico con l’impegno di tornare a trovarla quando lavoro e tempo glielo permettessero. E così fu.  Un volo diretto e di poco meno di un’ora le permise di tornare nei fine settimana a trovare la piccola. La bimba cresceva sana e bella e i suoi occhi, espressivi e profondi come due laghi immensi dove un sole specchiava tutta la sua lucentezza, accompagnarono la prima parola, mamma. Sentire quella parola fu per Mary come averla avuta nel suo grembo e data alla luce. Mary avrebbe voluto adottare la piccola ma il lavoro e l’assenza di un compagno, in quel momento della sua vita, non le permisero di compiere quel gesto d’amore. Un gesto d’amore che poteva segnare la loro definitiva unione come madre e figlia. Il lavoro di Mary s’intensificò, causa una guerra in atto nel paese in cui lavorava, e per questa ragione le visite alla piccola Kira si diradarono. Molti bimbi, orfani di entrambi i genitori morti nel conflitto, avevano bisogno di assistenza e Mary non poteva permettersi di assentarsi mancando così al suo impegno. I voli furono sospesi per un lungo periodo e le comunicazioni, spesso, non permettevano contatti telefonici. Solo da rare e sporadiche fonti d’informazione apprendeva che l’orfanotrofio non correva pericolo e Kira stava bene. Ma la situazione peggiorò quando un colpo di stato scoppiò anche nel paese dove Kira viveva e tutto il territorio fu dichiarato zona di guerra. Per Mary le speranze di rivedere la piccola  in tempi brevi si ridussero ancora di più. Quel mezzo sole appeso al collo di Mary per quanto tempo ancora avrebbe dovuto attendere prima di risplendere insieme con quello di Kira? Passò quasi un anno prima che la guerra le permise di prendere il primo volo per recarsi in visita da Kira. Prima della partenza le notizie sull’orfanotrofio erano confuse e contraddittorie. Giunse voce che l’orfanotrofio era stato sgomberato e tutti gli ospiti dislocati altrove, ma non si sapeva dove. L’aereo che trasportava Mary atterrò. Il paesaggio era diverso da come lo aveva lasciato, i segni della guerra erano visibili. Una Jeep l’attendeva fuori dall’aeroporto e in pochi minuti arrivò all’orfanotrofio.  Scesa dalla Jeep Mary rimase sconvolta nel vedere la struttura che ospitava Kira quasi completamente vuota e nessuno dei bambini presente. Si precipitò a entrare in uno degli uffici che una volta era adibito alla prima accoglienza. Una suora le venne incontro, il suo aspetto provato e il viso in lacrime nel vedere Mary. La suora raccontò che dopo qualche mese dal colpo di Stato tutti bimbi vennero evacuati, insieme a loro, naturalmente, anche la piccola Kira. Mary investì di domande la suora ma la religiosa purtroppo non sapeva molto, solamente che l’organizzazione umanitaria, contattata dal  centro di adozioni, ricevette disposizioni di preparare i bimbi  perché a breve sarebbero venuti a prenderli. Da lì a pochi giorni i mezzi del centro adozioni arrivarono, i bimbi caricati e trasferiti, ma la destinazione ignota, quasi sicuramente in un paese che potesse dare un futuro a loro e alla piccola Kira. Ancora per quanto tempo quelle due metà di sole dovevano brillare separate? Lo studio era ampio, semplice ma accogliente, il tavolo lungo e scuro, di un legno che solo in quel paese si trovava, attorno ad esso comode e fresche sedie in giunco. Al soffitto le lunghe pale di un ventilatore rinfrescavano la stanza. Bussarono alla porta e l’avanti risuonò forte e chiaro. Una giovane entrò. Era la nuova volontaria dell’organizzazione umanitaria. L’assistente anziana fece cenno alla giovane di avvicinarsi. La donna si voltò. Il suo fisico asciutto forse leggermente ingobbito, il viso segnato da qualche ruga ma ancora fresco, i capelli  biondi erano mischiati da un’onda di grigio, ma gli occhi erano vivi di un azzurro intenso. Sembrava l’azzurro di un cielo, limpido e sereno, che solo in quel paese si trovava. In quel cielo mancava soltanto il sole, un sole immenso e unico. La donna si avvicinò alla ragazza. I visi delle due donne, inizialmente seri, s’illuminarono. Una luce intensa, calda e dorata partiva dalla base del loro collo. Si abbracciarono. La testa della ragazza sulla spalla della donna. Tra di loro un sole unico brillava in un cielo azzurro su due occhi immensi come laghi che esprimevano la profondità di quanto desiderio avesse d’essere raccolta e amata.


Sergio Saracchini



2 ANNI 8 MESI 5 GIORNI


2 ANNI 8 MESI 5 GIORNI

Stava tornando a casa come ogni sera. La strada, a quell’ora, non era trafficata, soltanto qualche macchina. La radio era sintonizzata su un canale che trasmetteva solo musica degli anni della sua gioventù. Ascoltava e ripercorreva la “strada” del suo passato. Roberto, un uomo che negli anni si era costruito, con sacrificio, il suo presente, guadagnandosi un posto di lavoro ricco di soddisfazioni con un buon ritorno economico. A casa lo attendeva la moglie Anna, il grande amore della sua vita. Tutto nella normalità, il passato, il presente, il lavoro, la moglie, i ricordi. All’improvviso un lampeggiante. Il cellulare di Anna squillò a notte fonda e lei rispose senza attendere il secondo squillo. Un pronto secco, disperato, trepidante. Dall’altra parte una voce di un uomo, fredda, determinata, tagliente: “Signora Anna?”, Anna rispose con un “Si” che sapeva unicamente di terrore. “Suo marito è qui in questura ed è stato trattenuto per accertamenti”. “Questura? Accertamenti? ma... ma... “ Non riuscì ad aggiungere altro, la voce dell’uomo chiuse la telefonata subito dopo aver detto: “Può venire domani mattina, non prima, e incontrarlo per qualche minuto.” Il “click” del ricevitore che si chiudeva sembrava un proiettile sparato alla tempia della donna. La notte la trascorse come un incubo e le ore sembravano non passare mai. Interrogativi, su perché Roberto si trovava in questura, le stavano torturando la mente. Roberto, un uomo senza difetti, onesto, equilibrato, dotato di raziocinio, lui proprio lui in questura per accertamenti. Una soluzione a tutto questo doveva esserci e non poteva che aver sbocco in un errore. Attese le prime luci dell’alba per prepararsi e infilarsi in auto. La strada non era ancora trafficata e Anna, naturalmente, voleva giungere in questura il prima possibile. Dopo diversi chilometri giunse nella grande città che si stava animando.  Le auto, i mezzi pubblici, i semafori, gli attraversamenti pedonali rallentarono il suo arrivo. Giunta davanti alla questura perse ancora tempo nel trovare un parcheggio. Salì le scale del palazzo e si diresse nel primo ufficio che le capitò. Da lì fu mandata al secondo piano dello stabile. Bussò alla porta dell’ufficio indicatole. Le aprì un uomo, alto, ben piazzato, indossava un paio di jeans e un giubbotto nero, un occhiale con lenti a specchio non permetteva di intravedere gli occhi. Chiese di suo marito e l’uomo, senza esitazione e con tono severo, le rispose che era stato trasferito presso il carcere. Anna non credeva a quelle parole. Roberto in carcere, no, non poteva essere. Era solo un errore, uno stupido e banale errore che si sarebbe risolto in brevissimo tempo. Quanti ne sono accaduti di errori di questo tipo.  Anna ripeteva mentalmente la stessa frase: “E’ un sogno, solamente un brutto sogno, domani mi sveglierò nel mio letto e accanto a me troverò Roberto”. Anna si svegliò, stese il braccio e la sua mano intrecciò quella di Roberto. Era la mattina del 29 novembre 2012, all’indomani del processo nel quale il Tribunale assolse Roberto con formula piena per non aver commesso il fatto. Questo accadde dopo 2 anni, 8 mesi e 5 giorni  di carcere.
Sergio Saracchini
Mani Si.Le.nziose
(foto di Sergio Saracchini)

martedì 16 ottobre 2018

Illusione d’una stagione


Illusione d’una stagione

Oggi ti nascondi sole mio
timido dietro queste tende grigie
che avvolgono la città mesta
in un primo vagito d’autunno.

Vorrei sorridere ancora con te
con quelle smorfie buffe
che i tuoi raggi provocano
sulle stagioni d’un volto.

Lasciami ancora volare negli occhi
rondini con il loro garrire gioioso
e la farfalla riposare con grazia mite
sulla sommità della fronte.

E sulle gote  il verde d’un prato
tra sciami di ronzii e schiere di corolle
sfuma nella lingua dell’estate
l'alba e il tramonto senza confini.

Ma soffia il risveglio gelido
forte sul viso d’ affanni
nel vuoto e smarrimento
d’una presente stagione.

Sergio Saracchini 16/10/2018

sabato 21 luglio 2018

S-CONCERTO PER CONDOMINIO


S-CONCERTO   PER   CONDOMINIO




La tromba delle scale
s’è messa anche a suonare
insieme a quelle nocche
sul legno delle porte

e i campanelli in festa
citofonanti  sono
con  note di “chi è?”
si vanno ad accordare.

Lo sbattere di porte
nel condominio orchestra
sovrasta quegli assóli
di urla e  imprecazioni

vociare di famiglie
sezion di catenacci
tenori i portinai
in preda agli schiamazzi.

Il suono ascensoriale
composto è in verticale
coi numeri del piano
dal sotterraneo all’attico

seguendo lo spartito
di un coro di inquilini
applaudon le finestre
con tapparelle e scuri.

Lenzuola e poi tovaglie
lo sventolio accompagna
coriandoli di briciole
inneggiano ad un bis

e il tintinnio di gocce
cadenti da stendini
con schizzi su ringhiere
per annaffiare i fiori.

Poi battono i tappeti
son  timpani impazziti
sopra gli accordi striduli
di porte cigolanti

su l’aria di sciacquone
intanto si fa sera
e musica da camera
preannuncia il mio riposo.

Ma l’ultimo strumento
che sento io suonare
son froge del vicino
e il ritmico russare.

Sergio Saracchini
          roSSo62
      Luglio 2018



giovedì 10 maggio 2018

Vorrei essere

Vorrei essere

Vorrei essere in quella terra
col suo ondeggiare del grano
e il leggero cullare dei papaveri
lì dove s’inerpica la strada
al mistico e acquietato convento.
Nelle vene vorrei quel paesaggio
per farlo scorrere  e pulsare
con tutte le emozioni scritte
in quel tempo e senza errori.
E nelle notti udire il canto di grilli
nel veloce vorticare di lucciole
per giungere al tocco del campanile
che accompagna raggi di luce
tra gli scuri della vecchia casa.
Vorrei essere semplicemente lì
 in quella terra santa
dove laudato sii o mio Signore
 dove perdermi e ritrovarmi
in un piccola celletta di tenerezza.

                                     05/2018
                                    Sergio Saracchini




sabato 31 marzo 2018

La sera

La sera

Coperto dalla sera
dove forme stanche
si perdono per dissolversi
nei miei occhi pesanti
il tempo batte l'incudine
e luna in veste bianca
canta argentata ninnananna.
Nella stanza ascolto
i singulti degli anni
che danzano sul cuore
abbracciati ai pensieri
madidi di lacrime
e mi smarrisco
negli echi dei ricordi
e nel bisbiglio 
di una preghiera.

Sergio Saracchini 
31/03/2018

giovedì 1 marzo 2018

L’attesa


L’attesa

In questo tempo
dove attoniti rami
osservano mute foglie
in lontananza muovono
deboli luci nuove.

Dubbiosa stagione
tenta lo schiudersi
ma sono ancora lumini
le luci delle rose.

Freddo decoro
trema al solo pensiero
di sciami e polline
e al loro galleggiare
nella luce buona
di cristallini mattini.

Agonia di un gelido bacio
lacerato dal dardo di sole
innalza al sommo trono
corona di petali e oro.

Farà ritorno l’azzurro
nel germogliato respiro
con un risveglio di pace
nel brusio del cuore.

Sergio Saracchini - 01/03/2018

giovedì 11 gennaio 2018

Ed è subito cera

Ed è subito cera

Pulito e senza aloni
e lucidato a specchio
tra spazzole rotanti
e filo aggrovigliato
disteso mi ritrovo
sotto quel bianco cielo
rialzandoni composto
senza malanno alcuno
io recito sicuro...
"ed è subito cera"

Sergio Saracchini - 11/01/2018