Farfalla
(Breve n.1)
Quel pomeriggio, ancora prima che il sole riponesse i suoi
raggi nel tramonto di una giornata estiva, prese la sua vecchia bicicletta
dalla pedalata lenta quasi stanca. Non aveva cambi e ogni giro di pedale faceva
sentire la fatica nelle gambe. Quel mezzo aveva la fama d’essere stato
costruito in maniera artigianale, robusto, indistruttibile sia alle
sollecitazioni del terreno che al passare del tempo. Una bicicletta usata da
chissà quante persone ma ancora in buone condizioni, una marca famosa, il
modello era il “Farfalla”. Dopo un breve tratto di rettilineo asfaltato e
trafficato, tagliò per una stradina sterrata che conduceva nella campagna
circostante. La zona era un mare di prati, campi di spighe di grano puntellati
da macchie rosse di papaveri e nell’aria le farfalle volavano nel silenzio dei
leggeri aliti di vento. Sotto le due ruote la strada a poco a poco incominciò a
cancellarsi, scomparendo, ritrovandosi a pedalare in un campo dove steli d’erba
e fiori facevano il tifo al suo passaggio. Le farfalle superavano la bicicletta
o a tratti, quando si fermava per riprendere fiato, si concedevano anch’esse
una sosta su manubrio, campanello o fanale. Sembrava aspettassero che
ripartisse o meglio sembrava volessero sollevare la bicicletta per alleviare la
fatica e portare in volo chi pedalava. Dopo soste per riposarsi, stendendosi
tra le braccia dei petali, facendosi solleticare dalle formiche e con il ronzio
di qualche insetto nel sottofondo, s’accorse che il sole era ormai quasi
tramontato. Riprese la bicicletta e con tutte le forze rincominciò a pedalare
con una certa energia cercando di prendere velocità per giungere a casa prima
che la notte inghiottisse il suo ritorno. Un momento di smarrimento e strada con
campagna circostante scomparvero. I suoi occhi non scorgevano punti di
riferimento e anche l’occhio della bicicletta, che in quel momento doveva
essere il più lucente possibile, era cieco. All’improvviso luci veloci sfrecciarono
davanti ai suoi occhi, erano i fanali delle auto sulla strada asfaltata che,
nell’ultimo tratto, avrebbe ricondotto a casa. Finalmente ci arrivò e per pochi
chilometri percorse quella lunga lingua nera d’asfalto ancora calda dal sole
assorbito. Due occhi luminosi stavano dietro e man mano che si avvicinavano diventavano
sempre più grandi. All’improvviso tutto si illuminò. C’era il sole, l’azzurro
del cielo, i fili d’erba, i papaveri ma soprattutto, in quel campo, c’era una
farfalla in più che faceva a gara con altre nel volare e cercare una bicicletta
da superare o su cui posarsi per riposare.
SergioSaracchiniIlCalamaioDelCuore14/06/2020