lunedì 7 dicembre 2020

UNA SEMPLICE STORIA DI UN NATALE DEGLI ANNI '60


UNA SEMPLICE STORIA DI UN NATALE DEGLI ANNI '60

La sera del 24 dicembre eravamo chiusi dentro alla nostra cameretta e insieme a noi c’era nostra zia. Da dietro la finestra ammiravamo i fiocchi di neve che scendevano pigri e lenti. Nel silenzio magico di quella notte soltanto una stella brillava più luminosa delle altre. Mentre la zia ci raccontava una storia natalizia noi, ammutoliti da quella straordinaria atmosfera, non potevamo che tenere gli occhi spalancati con lo sguardo fisso sulla stella e la bocca semi aperta accompagnava lo stupore. Con il nasino schiacciato sul vetro lasciavo l’alone del mio respiro e il cuore batteva così forte che persino la zia, tenendomi in braccio, si emozionava osservandomi. Mentre una manina posava sulla sua spalla, l’altra stringeva quella di mia sorella. Quel momento lo attendavamo ogni anno e ogni anno l’emozione di viverlo era immensa. Ripensandoci oggi credo che i miei genitori avessero architettato tutto nei minimi particolari, è anche vero che creare una sorpresa simile per due bimbi non era poi così difficile, cosa che però richiedeva un certo tempismo. Mentre la zia, con il pretesto di farci ammirare l’avvicinarsi di quella stellina, ci portava in cameretta, mia mamma e mio papà si precipitavano a collocare i regali sotto l’albero che nei giorni precedenti il Natale avevano nascosto in posti a noi non accessibili, quindi anche loro ci raggiungevano. Solo dopo aver udito il suono del campanello di casa andavamo tutti in salotto. Forse mia sorella, più grande di me di cinque anni, qualcosa aveva sospettato, mentre io, ignaro della situazione che si stava creando, ci credevo dal profondo dell’anima. Ricordo che la zia, per dare tempo ai miei, raccontava una storia tanto fantasiosa quanto emozionante. Un Gesù Bambino accompagnato da un Babbo Natale arrivavano da molto lontano a cavallo di una stellina, giravano sulla nostra casa, la illuminavano con i raggi della stella, quindi suonato il campanello di casa e lasciati magicamente i regali sotto l’albero in salotto ripartivano per altre consegne. Ricordo che una volta, forse per un errore sequenziale delle azioni e per la mia impazienza, non appena sentii il suono del campanello riuscii a svincolarmi da mia zia, corsi fuori dalla stanza dove i miei non erano ancora presenti e li vidi correre verso il salotto con svariati pacchi tra le braccia. Alla cosa non diedi molta importanza, importanti erano invece i doni portati da Gesù Bambino e Babbo Natale. Naturalmente la scenetta del campanello durò ancora un anno forse due. Col tempo, giustamente e con un velo di tristezza, venni a sapere che mio padre e mia madre si accordavano con la gentile vicina di casa che, ad un’ora prestabilita, suonava puntualmente il campanello del nostro appartamento. Stessa cosa faceva mia madre per i suoi figli. Una stretta collaborazione natalizia di buon vicinato condominiale, basata su una strategia talmente ben studiata e sincronizzata in ogni singola azione (salvo errori procedurali), creava un’emozione unica che persino Babbo Natale avrebbe voluto viverla. Ancora oggi, trascorsi più di cinquanta anni da quelle notti magiche, rivivo con la memoria e col cuore quei momenti, la voce calda della zia, lo stringere della mano di mia sorella, i miei genitori anch’essi emozionati, il suono del campanello di casa. La stessa identica cosa venne ripetuta nel tempo, a casa di mia sorella e i protagonisti però erano mio figlio e i miei nipoti, io con mia sorella e i rispettivi moglie e marito correvamo a mettere i pacchi sotto l’albero, mentre mio papà e mia mamma ci osservavano con la stessa emozione di tanti anni prima. Mia zia invece aveva mantenuto il suo ruolo di narratrice, raccontare ai bimbi la storia di quel Gesù Bambino che insieme a Babbo Natale arrivavano sopra una stellina. Dimenticavo, il passaggio del suono del campanello veniva saltato, mia sorella non vivendo in un condominio non ha vicini di pianerottolo, quindi un “sono arrivati, sono arrivati” sostituiva, anche se a malincuore, la vicina di casa. Devo dire che i miei erano molto più scaltri e più organizzati di noi, i nostri figli ci “sgamarono” molto velocemente, tanto che finimmo per invertire i ruoli, loro mettevano i pacchi sotto l’albero riuscendo anche a suonare il campanello, io e mia sorella correvamo in salotto. Prima però la zia ci raccontava, tra una risata e una lacrima, la storia. Oggi, che non sono più gli anni ’60 e neppure quelli dell’infanzia dei figli ma sono quasi 60 gli anni della mia età, mentre faccio l’albero di Natale in salotto (da un paio di anni lo fanno mio figlio con la sua ragazza), ripenso con nostalgia a quei Natali. Ancora conservo alcuni regali dell’epoca, un Robot a batterie che camminava illuminandosi, un razzo Apollo 11 (per intenderci quello che portò l'uomo sulla luna) e un camion con il cassone ribaltabile. Sono in cantina, tutti nelle loro scatole originali e forse anche funzionanti, riposti insieme agli addobbi natalizi di quegli anni. A volte penso che potrei prenderli, portarli a casa e, lasciando quella polvere del tempo, incartarli per poi posizionarli sotto l’albero, quindi andrei ad aprire la porta d’ingresso, suonerei il campanello e poi di corsa a scartarli. Non mancherebbe nulla, penso che ci starebbe anche mia sorella che, conoscendo il suo attaccamento a quel ricordo, se glielo proponessi condividerebbe l’iniziativa senza non prima andare alla finestra, osservare la neve che scende e stringendoci la mano raccontarci quella storia. Non mancherebbe nulla e nessuno. Da lontano una stellina si avvicina e dietro a lei altre quatto … mamma, papà, zia e …la buona e cara vicina di casa.

 




Sergio Saracchini

Otto/12/duemilae20